CAMERA ARBITRALE 
                      per i contratti pubblici 
                            lodo parziale 
 
    Il Collegio arbitrale composto dai signori: 
        Prof. Avv. Fiorenzo Liguori - Presidente; 
        Avv. Elisa Burlamachi - Arbitro; 
        Prof. Avv. Luca Righi - Arbitro; 
    costituito per la risoluzione della controversia tra: 
        Centria s.r.l., in persona del  legale  rappresentante  p.t.,
rappresentato e difeso dall'avv. Stefano Ferla, con domicilio  eletto
in Milano, largo Quinto Alpini, n. 12; e 
        Comuni di Figline e Incisa Valdarno, Cavriglia e Montevarchi,
in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e
difesi dall'avv. Giovanni Calugi, con domicilio  eletto  in  Firenze,
via Giulio Capponi, n. 26; 
    Ha emesso il seguente lodo 
 
                                Fatto 
 
    Con atto introduttivo di arbitrato in data 23.2.2018, la Societa'
A.R.L. Centria, ai  sensi  della  clausola  compromissoria  contenuta
nell'art. 23 del contratto del 17.9.2002, stipulato da essa  societa'
con i Comuni di Montevarchi,  Caviglia,  Figline  e  Incisa  valdarno
designava in seno al costituendo  Collegio  arbitrale  quale  proprio
arbitro l'avv. Luca Nanni ed invitava i suddetti Comuni a  provvedere
alla designazione dell'arbitro di propria competenza. Con  lo  stesso
atto, dopo avere esposto le  vicende  del  contratto  del  17.9.2002,
avente ad  oggetto  l'affidamento  in  concessione  del  servizio  di
distribuzione del gas naturale, formulava le seguenti conclusioni: in
via principale, accertare e dichiarare che Centria non  e'  tenuta  a
riconoscere ai Comuni convenuti il  canone  di  concessione  previsto
all'art. 6 del contratto rep. N. 304 del 17.9.2002, dopo la  scadenza
del contratto stesso (30.9.2014) o, al piu' tardi, trascorso un  anno
da predetta scadenza (30.9.2015). In  via  subordinata,  accertare  e
dichiarare il diritto di Centria a rideterminare  il  canone  di  cui
all'art. 6 del citato contratto con decorrenza dalla scadenza  o,  al
piu' tardi, con decorrenza  da  un  anno  oltre  la  scadenza  e  con
riferimento alla fase di gestione ope legis del servizio ex art.  14,
c.  7,  d.lgs.  n.  164/2000,  al  fine  di  rispettare  l'equilibrio
economico-giuridico complessivo con gli  enti  locali  convenuti,  in
coerenza con il regime gestionale ope legis limitato  alla  ordinaria
amministrazione e con  quanto  stabilito,  in  aderenza  ai  principi
generali e  di  settore,  dall'art.  5,  c.  5,  del  contratto  tipo
approvato con d.m. 5.2.2013, nonche' conformemente alle  norme  e  ai
principi richiamati nel presente  atto  e  ad  ogni  altro  eventuale
criterio  che  potra'  essere  enucleato  nel  corso  della  presente
procedura; in ogni caso, determinare la misura del  canone  spettante
agli enti affidanti nella fase di gestione ope  legis  del  servizio,
anche  previa   apposita   C.T.U.,   nel   rispetto   dell'equilibrio
giuridico-economico del rapporto complessivo  con  detti  enti  e  in
coerenza  con  il   regime   di   gestione   limitata   all'ordinaria
amministrazione e con quanto stabilito dal contratto tipo di  cui  al
citato  d.m.,  nonche'  conformemente  alle  norme  e   ai   principi
richiamati  e  ogni  altro  eventuale  criterio  che  potra'   essere
enucleato nel corso della procedura arbitrale. 
    I Comuni di Montevarchi, Cavriglia, Figline  e  Incisa  Valdarno,
con   atto   datato   15.3.2018,   provvedevano   alla   designazione
dell'arbitro di loro competenza nella persona  del  Prof.  Avv.  Luca
Righi,  formulando  le  seguenti  conclusioni:  in  via  preliminare,
dichiarare l'inefficacia sopravvenuta e/o la nullita' della  clausola
compromissoria contenuta nell'art. 23 del contratto inter  partes,  e
quindi  l'incompetenza  del  Collegio   Arbitrale   a   decidere   la
controversia; in  ipotesi  impugnata  di  rigetto  dell'eccezione  di
incompetenza, respingere le domande formulate da  Centria  in  quanto
infondate in fatto e in diritto e  respingere  l'istanza  istruttoria
formulata da Centria in quanto inutile al fine di  decidere.  In  via
riconvenzionale, veniva richiesta la condanna di Centria al pagamento
del canone contrattuale nella sua  quota  fissa  e  nella  sua  quota
variabile, previo ordine a Centria S.r.l. di fornire ai Comuni i dati
relativi al valore della produzione detratto il costo di acquisto del
gas per l'anno 2017, ripartito in relazione al territorio di  ciascun
Comune. 
    La Centria S.r.l. provvedeva  alla  designazione  di  un  diverso
arbitro, nella persona dell'Avv. Elisa Burlamacchi, ed  il  Consiglio
della  Camera  Arbitrale  per  i  contratti  pubblici  presso  l'ANAC
provvedeva, nella seduta  del  17.10.2018,  a  nominare  il  Collegio
arbitrale nelle persone:  del  Prof.  Avv.  Fiorenzo  Liguori,  terzo
arbitro con funzioni  di  Presidente,  dell'Avv.  Elisa  Burlamacchi,
Componente, designato da Centria S.r.l.; e del Prof. Avv. Luca Righi,
Componente, designato dai Comuni.  Intervenuta  l'accettazione  della
nomina, il Collegio si costituiva in data 5.2.2019 presso  la  Camera
Arbitrale, sede del Collegio,  ed  assegnava  alle  parti  un  doppio
termine per il deposito di memorie e documenti. Le parti provvedevano
al deposito di una prima memoria e di memorie di replica entrambe con
corredo documentale. In sede di prima memoria, Centria  provvedeva  a
riformulare le sue  conclusioni  nei  termini  che  seguono:  in  via
principale, accertare e dichiarare  l'insussistenza  dell'obbligo  di
Centria S.r.l. di corrispondere ai  Comuni  convenuti  il  canone  di
concessione nella medesima misura prevista dall'art. 6 del  contratto
inter  partes,  per  tutto  il  periodo   di   gestione   ope   legis
intercorrente tra la scadenza del suddetto contratto e la  decorrenza
del  nuovo  affidamento;  dichiarare  conseguentemente  infondata   e
rigettare la domanda riconvenzionale proposta dai Comuni; accertare e
dichiarare che il canone spettate ai Comuni convenuti nella  fase  di
gestione ope legis dopo la scadenza  della  concessione  deve  essere
determinato  sulla  base  di  quanto  previsto  dalla  disciplina  di
settore, ovvero comunque  sulla  base  dei  principi  in  materia  di
regolazione tariffaria affermati dall'Autorita'  di  regolazione  del
settore,  secondo  il  criterio  della  remunerazione  del   capitale
investito, riconosciuto dalla regolazione tariffaria per la parte  di
impianto degli enti  concedenti,  salva  ogni  precisazione  in  fase
istruttoria  e  tenendo  conto  dei  dedotti  ulteriori  fattori   di
alterazione del sinallagma contrattuale; accertare  conseguentemente,
previa apposita C.T.U., la misura  del  canone  spettante  ai  Comuni
nella  fase  di  gestione  ope  legis  del  servizio.  In  subordine,
nell'ipotesi in cui il Collegio non  ritenga  di  poter  interpretare
l'art. 1, c. 453,  legge  n.  232/2016  in  conformita'  del  diritto
comunitario  e  delle  norme  costituzionali,  si   e'   chiesta   la
disapplicazione della  suddetta  interpretazione  per  illegittimita'
comunitaria e la rimessione alla Corte costituzionale della questione
di legittimita' della medesima  disposizione.  In  via  ulteriormente
subordinata,  per  l'ipotesi  in  cui  fosse  ritenuta  legittima  ed
efficace la proroga  delle  condizioni  attuali,  si  e'  chiesto  di
accertare il diritto di Centria a rideterminare il suddetto canone  e
l'obbligo  dei  Comuni  di  rinegoziarlo  al   fine   di   rispettare
l'equilibrio  economico-giuridico  del  rapporto  complessivo  con  i
medesimi Comuni in forza della legge o dell'accordo inter partes.  In
via istruttoria, si e' chiesto  di  disporre  C.T.U.  ai  fini  della
determinazione del canone annuo spettante ai Comuni  convenuti  nella
fase di gestione ope legis del servizio in applicazione  dei  criteri
indicati  e  previa  ogni   specificazione   ritenuta   opportuna   o
necessaria. 
    All'udienza del 16.4.2019, esperito senza risultato il  tentativo
di bonario componimento, i difensori  delle  parti  procedevano  alla
trattazione  orale  della  controversia  all'esito  della  quale   il
Collegio si riservava la decisione. 
    Con lodo non definitivo sottoscritto in data 26-27 settembre 2019
il Collegio  ha  dichiarato  la  propria  competenza  a  decidere  la
controversia, rinviando ogni altra statuizione e  prorogando  di  180
giorni il termine per la pronuncia. 
 
                               Diritto 
 
    1. Centria ha proposto il giudizio allo scopo di  fare  accertare
l'infondatezza della pretesa dei Comuni a percepire lo stesso  canone
di concessione previsto dal contratto di affidamento. Secondo Centria
una tale pretesa -  benche'  appaia  ad  un  primo  esame  del  tutto
coerente  con  le  disposizioni  dell'articolo  3  dell'accordo   del
14.11.2014 e dell'articolo 14, co. 7, d.lgs. n. 164  del  2000,  come
autenticamente interpretato dall'art. 1, co. 453, l. n. 232 del  2016
- sarebbe incompatibile con  i  vincoli  di  diritto  comunitario  in
materia di contratti pubblici, e tale contrasto renderebbe  nulla  la
proroga quinquennale di cui all'accordo del 14.11.2014. 
    La pretesa dei  Comuni  di  ottenere  il  canone  originariamente
previsto anche per tutto il  tempo  della  proroga  sarebbe  inoltre,
secondo  Centria,  in  grado  di  alterare   l'equilibrio   giuridico
economico riconducibile al contratto di concessione,  frutto  di  una
offerta calibrata sulla durata dodicennale della gestione  (oltre  ad
un eventuale anno di proroga tacita). 
    L'attrice, dunque, invoca l'interpretazione conforme  al  diritto
comunitario e alle norme costituzionali delle disposizioni in tema di
proroga,  le  quali  diversamente  contrasterebbero  con  i   vincoli
comunitari  e  costituzionali  nella  parte  in  cui   impongono   la
permanenza del canone  originario,  e  chiede  che  venga  accertato,
previa C.T.U., il giusto canone da corrispondere ai Comuni sulla base
di quanto previsto dalla disciplina di settore ovvero dei principi in
materia  tariffaria  secondo  il  criterio  della  remunerazione  del
capitale  investito  e  tenendo  conto  degli  ulteriori   fatti   di
alterazione dell'equilibrio dei rapporti tra le  parti  (sopravvenuta
esclusione dell'attivita' di vendita, impossibilita' di procedere  ad
un  piano  di  investimenti  nel  tempo  della  gestione   prorogata,
andamento tariffario restrittivo, inidoneita' del canone originario a
consentire il recupero degli investimenti operati  dal  gestore).  In
via subordinata, qualora cioe'  l'interpretazione  conforme  proposta
non fosse praticabile, Centria chiede la disapplicazione dell'art. 1,
co. 453, 1. n. 232 del  2016  per  illegittimita'  comunitaria  e  la
rimessione alla Corte costituzionale della questione di  legittimita'
costituzionale di tale disposizione. 
    Infine, in via ulteriormente  subordinata,  Centria  chiede  che,
qualora il Collegio ritenga legittima ed efficace  la  proroga  delle
condizioni contrattuali relative al canone, venga comunque  accertato
il suo diritto alla  rideterminazione  del  canone  e  l'obbligo  dei
Comuni di rinegoziarlo al fine di rispettare  l'equilibrio  giuridico
economico complessivo. 
    Quanto alla domanda di Centria di accertamento  dell'infondatezza
della pretesa dei Comuni a vedersi  corrisposto  il  medesimo  canone
originariamente previsto anche per tutto il  tempo  (cinque  anni  di
gestione in proroga) il Collegio osserva che siffatta  pretesa  trova
la sua fonte negoziale nell'accordo sottoscritto dalle parti in  data
14.11.2014. Ai sensi dell'articolo 3 di' tale  accordo  contrattuale,
Centria si impegnava a "continuare la gestione del pubblico  servizio
di distribuzione del  gas  nei  territori  comunali  -  come  imposto
dall'articolo 14, co. 7, d.lgs. n. 164 del 2000 - adempiendo a  tutti
gli obblighi dell'impresa di distribuzione previsti  dalla  normativa
di settore e mantenendo in essere le medesime obbligazioni e garanzie
ordinate nella concessione originaria". 
    Il patto e' intervenuto  prima  della  norma  di  interpretazione
autentica e ne ha anticipato il contenuto chiarificatore  nell'ambito
del rapporto tra le parti, essendo  evidente  che  tra  le  "medesime
obbligazioni"  non  puo'  non  rientrare  il  pagamento  del   canone
originario pattuito. 
    L'articolo 14, comma 7, del decreto legislativo n. 164 del  2000,
prevede che "il gestore uscente resta comunque obbligato a proseguire
la gestione del servizio limitatamente all'ordinaria amministrazione,
fino alla data di decorrenza del nuovo affidamento". 
    L'applicazione di questa disposizione aveva  in  un  primo  tempo
dato vita ad un contenzioso promosso da concessionari che sostenevano
di non essere tenuti, essendo venuto meno  il  rapporto  contrattuale
originario, a corrispondere ai  concedenti  il  canone  previsto  dal
contratto.  Dopo  qualche  oscillazione  giurisprudenziale,   presero
partito sulla  questione  prima  la  AEEGSI  con  il  comunicato  del
19.5.2016 (ove si legge che "il silenzio normativo in punto di canone
per l'affidamento non  pare  di  per  se'  sufficiente  ad  escludere
l'obbligo di pagamento del medesimo canone") e poi  decisivamente  il
legislatore, con la disposizione di interpretazione autentica dettata
dall'articolo 1, co.  453,1.  n.  232  del  2016,  secondo  la  quale
"l'articolo 14 comma 7 del decreto legislativo  23  maggio  2000,  n.
164, si interpreta nel senso che il gestore uscente  resta  obbligato
al pagamento di canone di concessione previsto dal contratto". 
    Tanto chiarito in via  generale,  occorre  dare  atto  che  nella
specie siamo in  presenza  di  un  patto  contrattuale  espresso  che
obbliga al pagamento del canone previsto  in  origine  per  tutta  la
durata della proroga, con una disposizione (pienamente conforme  alla
previsione legislativa di interpretazione  autentica  appena  citata)
che si e' voluto inserire in un accordo  stipulato  per  superare  la
durata annuale  della  proroga  originariamente  prevista  (art.  18)
disciplinando il rapporto in termini espliciti anche sulla  questione
dubbia del canone. 
    In una tale situazione, nella quale e' intervenuta  prima  ancora
della disposizione di interpretazione autentica una proroga  espressa
alle  stesse  condizioni  dettate   dal   contratto   originariamente
stipulato (per il principio  che  la  proroga  debba  necessariamente
intervenire alle medesime condizioni originarie,  cfr.  Cons.  Stato,
sez. III, 2.3.2018, n. 1337), il Collegio ritiene che non resti altro
da esaminare al riguardo, se non le  deduzioni  di  Centria  relative
alla  prospettata  nullita'  della  proroga  negoziale  nonche'  alla
ipotizzata incompatibilita' della  legge  nazionale  con  il  diritto
eurounitario e con le norme costituzionali. 
    Quanto  al  primo  profilo,  e  cioe'   alla   pretesa   nullita'
dell'accordo del 2014, il Collegio ritiene che l'eventuale  contrasto
con  la  disciplina  eurounitaria  non  possa  essere  ascritto  alla
categoria  della  nullita'.  Le   ipotesi   di   nullita',   infatti,
costituiscono  un  numerus  clausus,   e   devono   essere   pertanto
espressamente previste  e  tipizzate  come  tali,  laddove  le  altre
ipotesi di non conformita' a disposizioni di legge sono  destinate  a
confluire nella categoria generale dell'annullabilita'.  Il  collegio
ricorda a riguardo  che  la  comminatoria  di  nullita'  del  rinnovo
(tacito) dei contratti pubblici era in effetti dettata  dall'articolo
6 della legge 24 dicembre 1993, n. 537. Una tale comminatoria non  e'
stata pero' riproposta  dalle  disposizioni  successive  in  tema  di
proroga, ed anzi risulta abrogata dall'art. 256, d.lgs.  n.  163  del
2006. 
    La proroga resta una situazione guardata con  sfavore  anche  dal
legislatore nazionale e rigorosamente circoscritta  alle  ipotesi  di
transizione da un affidamento con gara all'altro, e tuttavia  difetta
una espressa comminatoria di nullita' per le ipotesi di  abuso  dello
strumento. Dunque le deliberazioni dei  Comuni  convenuti  che  hanno
disposto in  tal  senso  e  che  precedono  l'accordo  negoziale  del
14.11.2014  avrebbero   dovuto   essere   impugnate,   ove   ritenute
illegittime, entro il termine di decadenza. Anche  a  prescindere  da
ogni  considerazione  sulla  problematica  configurabilita'  di   una
posizione di interesse in capo a chi si e' giovato di una proroga che
(ora) ritiene illegittima,  e'  sufficiente  constatare  che  nessuna
impugnativa e' stata da Centria prodotta e pertanto l'accordo  e  gli
atti ad esso preordinati sono pertanto diventati inoppugnabili. 
    L'attrice  del  resto  prospetta  una  ipotesi  di  nullita'  per
violazione  del  diritto  comunitario   che,   alla   luce   di   una
giurisprudenza ormai consolidata, si deve  ritenere  inconfigurabile,
come conferma anche l'articolo 21-septies della 1.n. 241 del  90  che
non include tra le ipotesi di  nullita'  tassativamente  previste  la
violazione del diritto comunitario. In passato si era invero discusso
se una ipotesi di  nullita'  potesse  essere  costituita  dagli  atti
adottati dall'amministrazione  in  applicazione  di  norme  nazionali
contrastanti  con  il  diritto  europeo.  Dopo   qualche   originaria
oscillazione e',  come  si  e'  detto,  prevalso  l'orientamento  che
qualifica un  atto  siffatto  come  semplicemente  annullabile,  come
annullabili sono, a  livello  europeo,  anche  gli  atti  emanati  in
violazione dei Trattati. L'eventuale violazione del  diritto  europeo
implica   dunque   un   vizio   di   legittimita'   con   conseguente
annullabilita' dell'atto amministrativo  con  esso  contrastante.  Da
cio' discendono due conseguenze fondamentali: sul piano  processuale,
vi  e'  l'onere  di  produrre  l'impugnativa  entro  il  termine   di
decadenza, mentre su quello sostanziale si  configura  l'obbligo  per
l'amministrazione di dare  corso  all'applicazione  dell'atto,  fatto
salvo l'esercizio del potere di autotutela  (Cons.  Stato,  sez.  VI.
31.3.2011. n. 1983). 
    L'accordo e gli atti amministrativi che lo hanno  approvato  sono
dunque divenuti inoppugnabili  e  pertanto  la  disciplina  negoziale
contenuta dispiega piena efficacia tra le parti. 
    2.  La  difesa  dell'impresa  attrice  invoca   l'interpretazione
conforme al diritto comunitario e  alle  norme  costituzionali  della
disposizione di interpretazione autentica in questione.  Al  riguardo
il Collegio ritiene  che  l'inequivocabile  portata  letterale  della
norma  impedisca  ogni  sforzo  interpretativo  del  tipo  di  quelli
proposti nelle difese di Centria. 
    Centria   chiede   anche,    in    via    subordinata,    qualora
l'interpretazione  conforme  da  essa  proposta  non  fosse  ritenuta
praticabile, la disapplicazione dell'art. 1, co. 453, 1. n.  232  del
2016 per  illegittimita'  comunitaria  e  la  rimessione  alla  Corte
costituzionale della questione di legittimita' costituzionale di tale
disposizione sollevata sotto molteplici e concatenati profili. 
    Il Collegio  osserva  preliminarmente  che  in  caso  di  "doppio
contrasto"  di  una  disposizione  nazionale   -   con   i   principi
costituzionali e le norme di diritto europeo - secondo l'orientamento
piu' recente della Corte  costituzionale  (sent.  269  del  2017)  la
questione deve essere rimessa in  primo  ordine  dinanzi  alla  Corte
nazionale, dando cosi'  valore  al  giudizio  condotto  su  parametri
interni. 
    Il  Collegio  osserva  altresi'  che  la  natura  pattizia  delle
obbligazioni assunte da Centria,  peraltro  in  epoca  precedente  di
circa  due  anni  rispetto  all'emanazione  della   disposizione   di
interpretazione  autentica,  rendono  irrilevanti,  ai   fini   della
decisione circa  la  sussistenza  dell'obbligo  di  corrispondere  il
canone per i primi cinque anni, le eccezioni  di  incostituzionalita'
mosse nei confronti dell'art. 1, co. 453, l. n. 232 del 2016. 
    Centria tuttavia ha proposto l'azione di accertamento  anche  con
riguardo al tempo successivo al termine  di  scadenza  della  proroga
pattizia: di conseguenza le molteplici questioni di costituzionalita'
poste assumono rilevanza ai fini della  decisione  della  domanda  di
accertamento con  riferimento  al  periodo  successivo  alla  vigenza
quinquennale dell'accordo del 14.11.2014. 
    Proprio in ragione di una tale proiezione temporale, sembrano  al
Collegio rilevanti e non manifestamente infondati i prospettati dubbi
di legittimita' costituzionale dell'art. 1, co. 453, della l. n.  232
del 2016, nella parte in cui la disposizione investe le problematiche
relative alla potenzialmente illimitata durata della gestione ex lege
del servizio,  con  particolare  riferimento  alla  violazione  degli
articoli 3 e 97 della Costituzione. 
    Se  infatti  la  fonte  pattizia  dell'obbligo  di  garantire  la
prosecuzione del servizio copre i  primi  cinque  anni  di  gestione,
rendendo irrilevanti gli effetti  della  disposizione  sospettata  di
incostituzionalita',  la  prosecuzione  del  rapporto  per  il  tempo
successivo a tale periodo e la relativa disciplina  trovano  la  loro
fonte esclusivamente nella legge. 
    Il  profilo  emerge  anche  dall'esame  degli  orientamenti   dei
Tribunali di merito, che se in qualche caso  hanno  ritenuto  che  la
norma di interpretazione autentica conferma l'opzione  interpretativa
a favore dell'ultrattivita' dell'intera concessione-contratto, e  non
esclusivamente della sola obbligazione  negoziale  di  pagamento  del
canone, sicche' non e' fondato sostenere  che  "proseguono  solo  gli
obblighi ma non i diritti" (Trib.  Bergamo,  sez.  III,  22  febbraio
2017, n. 452), in qualche  altro  affermano  che  tale  disposizione,
attesa l'assenza di un termine oltre  il  quale  l'adempimento  degli
obblighi contrattuali debba interrompersi, costituirebbe una  proroga
di fatto a tempo indeterminato, incidendo negativamente sui  principi
di certezza del diritto e di legittimo affidamento (Trib.  Lucca,  30
settembre 2019, n. 2546). 
    Pare dunque al Collegio profilabile il contrasto dell'art. 1, co.
453, 1. n. 232 del 2016,  con  i  principi  di  ragionevolezza  e  di
certezza del diritto, nonche' di legittimo  affidamento  del  gestore
del servizio, alla luce della considerazione che l'impresa non poteva
prevedere di dover corrispondere il medesimo canone anche  una  volta
scaduto il termine quinquennale. 
    Con riferimento alla violazione del canone di ragionevolezza, che
ha assunto un  connotato  conformativo  rispetto  ad  ogni  parametro
costituzionale, la  disposizione  sembra  essere  anche  incongrua  e
inadeguata rispetto al fine che intende perseguire (Corte cost. n. 43
del 1997), rinvenibile come si  e'  detto  nella  prosecuzione  della
gestione  del  servizio  per   il   tempo   strettamente   necessario
all'espletamento della nuova procedura ad evidenza pubblica. 
    Applicando in concreto la disposizione, l'impresa resta obbligata
ad una illimitata gestione del  servizio  non  piu'  per  sua  scelta
volontaria ma per il  protrarsi  oltre  ogni  ragionevole  previsione
della situazione di  stallo  sul  fronte  delle  nuove  procedure  di
affidamento. La gestione ex  lege  risulta,  peraltro,  espressamente
limitata all'ordinaria amministrazione e  come  tale  appare,  almeno
potenzialmente, meno vantaggiosa per il gestore. 
    La dilatazione degli impegni assunti oltre il termine pattizio va
ben al di la' di  quanto  era  ragionevole  prevedere,  non  solo  al
momento di formulazione dell'offerta ma,  cio'  che  qui  rileva,  al
momento della sottoscrizione dell'accordo del 14.11.2014. 
    Avendo riguardo, in particolare,  ai  profili  di  illegittimita'
costituzionale per violazione dei principi di certezza del diritto  e
di tutela del  legittimo  affidamento,  viene  in  rilievo  anche  la
giurisprudenza sulla ammissibilita' della  legge  di  interpretazione
autentica,  la  quale  -  come  e'  stato  chiarito  -   puo'   dirsi
costituzionalmente legittima, qualora  abbia  lo  scopo  di  chiarire
«situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo»,  in  ragione
di «un dibattito  giurisprudenziale  irrisolto»,  o  di  «ristabilire
un'interpretazione  piu'  aderente  alla  originaria   volonta'   del
legislatore  [...]  a   tutela   della   certezza   del   diritto   e
dell'eguaglianza dei  cittadini,  cioe'  di  principi  di  preminente
interesse costituzionale» (sentenza  n.  78  del  2012).  Essa  deve,
tuttavia, anche  rispettare  una  serie  di  limiti  «attinenti  alla
salvaguardia, oltre che dei principi costituzionali, anche  di  altri
fondamentali  valori  di  civilta'  giuridica,  posti  a  tutela  dei
destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno
ricompresi il  rispetto  del  principio  generale  di  ragionevolezza
[...]; la tutela dell'affidamento legittimamente sorto  nei  soggetti
quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza  e  la
certezza  dell'ordinamento  giuridico;  il  rispetto  delle  funzioni
costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenza  n.  209
del 2010)» (Corte cost., n. 308 del 2013). 
    Nella specie, sebbene l'art. 1, co. 453,1. n. 232 del 2016  abbia
inteso chiarire una situazione di  incertezza  determinata  dall'art.
14, co. 7, d.lgs. n. 164 del  2000,  la  stessa  disposizione  sembra
porsi in contrasto con i principi di sicurezza dei rapporti giuridici
e di legittimo affidamento dell'operatore economico. 
    Secondo l'orientamento consolidato  della  Corte  costituzionale,
non sembra decisivo verificare se la norma censurata abbia  carattere
effettivamente interpretativo (e sia percio' retroattiva) ovvero  sia
innovativa con efficacia retroattiva, quanto piuttosto  accertare  se
la retroattivita' della legge  "trovi  adeguata  giustificazione  sul
piano della ragionevolezza, di tutela del legittimo affidamento e  di
certezza delle situazioni giuridiche, atteso che essa  si  limita  ad
assegnare alla disposizione interpretata un significato riconoscibile
come una delle possibili letture del testo originario" (Corte  cost.,
n. 78 del 2012; Corte cost., 93 del 2011). 
    Con riferimento ai rapporti di durata - come quello  oggetto  del
presente giudizio - la Corte ha stabilito  che  la  nuova  disciplina
debba essere valutata sotto il profilo della  razionalita',  in  modo
che non sia leso l'affidamento del privato nella  certezza  giuridica
(Corte cost., n. 525 del 2000). A ben vedere, in questo  caso  l'art.
1, co. 453, 1. n. 232 del 2016, nella parte in  cui  non  prevede  un
termine di durata dello svolgimento del servizio, comporta il rischio
di una sua protrazione illimitata  agli  stessi  patti  e  condizioni
originari, che l'impresa ha ritenuto di poter rispettare soltanto per
un  periodo  limitato,  ancorche'  da  essa  stessa   consapevolmente
prorogato per cinque anni. La potenzialmente  illimitata  protrazione
della proroga e' appunto conseguenza  dell'interpretazione  autentica
operata da una  norma  che  non  prevedendo  neppure,  come  talvolta
accade, il richiamo alla formula del "termine ragionevole",  o  della
"ragionevole durata" per lo svolgimento  "ultrattivo"  del  servizio,
pare  contrastare  con  l'affidamento   legittimo   degli   operatori
economici e le esigenze di certezza dei rapporti giuridici. 
    L'inerzia della pubblica amministrazione, o comunque i ritardi  e
le inadempienze che non hanno consentito ancora di bandire  la  gara,
non   possono   del   resto   ragionevolmente   essere    "scaricati"
sull'imprenditore che abbia  avuto  la  ventura  di  aggiudicarsi  il
servizio in una epoca diversa e con condizioni diverse, ne' tantomeno
sugli operatori economici che  -  nonostante  sia  ormai  decorso  il
termine quinquennale di proroga - attendono l'indizione di una  nuova
procedura di gara per l'affidamento del servizio. 
    Sotto questo ultimo profilo, l'art. 1, co. 453,  1.  n.  232  del
2016, oltre a presentare dei profili di illegittimita' costituzionale
per violazione dell'art. 3 Cost. in relazione alla evidente  tensione
della disposizione con il parametro di ragionevolezza,  sembra  porsi
in contrasto anche con l'art. 97 Cost., in  tema  di  buon  andamento
nell'organizzazione e nell'attivita' amministrativa.